50 anni dalla scoperta di Lucy

Il 30 novembre 1974, cinquant’anni fa, venne alla luce lo scheletro di Lucy, una giovane femmina di australopiteco.

Le ossa furono ritrovate in Etiopia presso Hadar, situato al centro del deserto Afar. Esse componevano il 40% dello scheletro dell’ominide, il quale fu poi assemblato e si contarono in totale 52 resti ossei.

La notorietà di questo reperto fu dovuta alla descrizione ben dettagliata che le fu data, e al ritrovamento quasi completo delle sue ossa. Da questi presupposti si poté comprendere la corporatura che avevano i nostri lontanissimi antenati, vissuti oltre 3 milioni di anni fa. Inoltre, Lucy rappresentava una forma assai ancestrale di ominide bipede, in quanto era decisamente più antica rispetto ai resti fossili degli uomini primitivi rinvenuti fino ad allora.

La sua scoperta fece il giro del mondo, e diede inizio allo studio e alle ricerche su quegli ominidi che vennero chiamati Australopithecus afarensis.

Negli anni successivi, furono effettuati altri scavi nella stessa zona che fu denominata Great Rift Valley, che permisero un ulteriore sviluppo sulle ricerche di fossili con caratteristiche molto a quelle di Lucy. Alla fine del decennio, fu coniato il nome Australopiteco, in riferimento ai resti delle specie scoperte. Gli ideatori di tale nome furono Don Johanson e Tim D. White, insieme a Yves Coppens, i quali scrissero un articolo a riguardo nel 1978 su una rivista chiamata Kirtlandia: il titolo recava A new species of the genus Australopithecus (Primates: Hominidae) from the Pliocene of eastern Africa.

Donald Johanson realizzò una della maggiori scoperte palentologiche del secolo che contribuiì a dare con un’immensa visibilità alle scienze paleoantropologiche. Da qui in poi, Lucy divenne il reperto più noto e più iconico della scienza dell’evoluzione umana.

Successivamente, le ricerche dei paleoantropologi continuarono anche su altri fronti: dalla ricostruzione del paleoambiente allo studio dei manufatti oltre all’analisi della relazioni con tutti gli altri reperti fossili scioperti.

Lucy dal canto suo, non lasciò nessun reperto, in quanto appartenente ad una categoria di ominidi vissuti prima ancora dell’età della pietra. L’unico aspetto “moderno” che presentavano era il fatto di essere bipedi, caratteristica assai rara in natura, in quanto la stragrande maggioranza degli animali sono quadrupedi. Le scimmie, invece, posseggono una modalità di locomozione particolare, la quale si è tramutata nel bipedismo degli umani: la brachinazione: tale movimento consiste nel muoversi tra gli alberi con la forza delle sole braccia, alternando una presa dopo l’altra delle mani, con il corpo sospeso e le gambe flesse.

In rapporto all’evoluzione delle diverse modalità di locomozione, molte di esse hanno assunto una specifica connotazione. Gli esseri umani, ad esempio, hanno i piedi al posto delle mani inferiori, oltre ad avere una particolare conformazione del cinto pelvico, dove le anche si sono espanse lateralmente in avanti, in modo da consentire al bacino di svolgere la funzione di perno biomeccanico nella statica e nella dinamica della locomozione umana, unica nel mondo animale.

Il fatto che le caratteristiche della locomozione bipede fossero già presenti in una scimmia antropomorfa come Lucy, vissuta oltre tre milioni di anni fa, suscita ulteriori questioni sul piano evolutivo, stimolando i ricercatori a comprendere ancora più a fondo il significato adattativo di questo insolito modello di locomozione.

FESAV 2024: la conferenza di Giorgio Manzi

Nell’ambito del Festival della Scienza dell’Alto Vicentino, tenutosi a Schio dal 25 al 27 Ottobre 2024, Giorgio Manzi ha portato questa storia con la conferenza Lucy e altri racconti dal tempo profondo.

Giorgio Manzi è un noto antropologo, paleontologo, docente universitario e divulgatore scientifico. Laureato in scienze biologiche nel 1981, è stato curatore di museo dal 1984, per poi divenire successivamente ricercatore. Dal 2001 assume una cattedra alla Sapienza di Roma, ed iniziò ad insegnare ecologia ed evoluzione umana, paleontologia umana e storia naturale dei primati. Tra i suoi importanti incarichi ottenuti vi sono quello di Vicesegretario dell’Istituto Italiano di Antropologia, ricoperto dal 1991 al 2003, Segretario Generale dell’Istituto di Paleontologia Umana, ricoperto dal 1999 al 2006, Direttore del Museo di Antropologia “Giuseppe Sergi”, ricoperto dal 2004 al 2021 e Direttore del Polo museale Sapienza, ricoperto dal 2012 al 2018.

Ha svolto innumerevoli ricerche sul campo in svariati siti del paleolitico in Italia, all’estero, oltre ad aver compiuto studi riguardanti perlopiù l’evoluzione del genere Homo Sapiens, le origini dell’Homo di Neanderthal, e la biologia scheletrica di popolazioni umane primitive in Italia e Nordafrica.

Di particolare rilevanza internazionale, figurano le sue ricerche sul Cranio di Ceprano e sullo scheletro dell’Homo di Neanderthal noto come “Uomo di Altamura“.

La conferenza è stata moderata da Giacomo Moro Mauretto (Entropy for Life).

Il libro di Manzi Antenati (Il Mulino, 2024), presentato durante la conferenza, narra diverse storie, evocazioni di una ricostruzione archeologica a posteriori del presente, riguardanti le origini del genere umano a partire dagli ominidi antropomorfi, e degli studi paleoantropologici effettuati a partire dagli anni Settanta.

Particolarmente interessante è la parte Un’icona chiamata Lucy, in cui si narra l’affascinante vicenda di Johanson in Etiopia, che lo condusse ad inaugurare le scoperte dell’Australopiteco cinquant’anni fa, il 30 novembre 1974.

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