Sulle tracce di Antonio Fogazzaro

Nella Provincia di Vicenza si sviluppa un percorso di notevole interesse storico e letterario, che porta il viaggiatore a scoprire i luoghi che diedero impulso alla creativitĆ  dello scrittore vicentino Antonio Fogazzaro (1842 – 1911) nella realizzazione di opere di notevole valore letterario.

Il Sentiero Fogazzaro Roi si snoda per 80 chilometri circa, partendo dalla Villa Fogazzaro Colbachini, situata nel comune di Montegalda (VI): lambisce poi la cittĆ  di Vicenza e risale l’intera pianura vicentina fino a raggiungere le propaggini meridionali delle Prealpi, inerpicandosi sul monte Cimone e concludendo il suo percorso presso Tonezza.

In quest’articolo vi porteremo alla scoperta dei luoghi del sentiero situati nel tratto finale, tra i comuni di Velo d’Astico e Tonezza del Cimone.

Cominciamo!

Velo d’Astico

1. Villa Velo

Fonte: Acqua Ferro Fuoco

Vila Cortis” disse Elena al cocchiere, salendo.

Passate le ultime casupole del paesello, vide il muraglione del giardino francese e, al di sopra, il getto bianco, il bosco pendente della montagna. Smontò pallida e accigliata sulla spianata verde davanti alla casa s’avviò per il cortile rustico al cancello dei giardini e si perdette nelle ombre del bosco…

Vi sono lĆ  dentro colli e valloni perpetuamente ombrosi, laghi e prati cinti d’ombra, taciti canali che tremolano nell’ombra, voci di fontane invisibili. Le vette degli alberi in giro… annunciano ondulando, mormorando al vento, questo poema dell’ombra e della vita…

Elena sparve lĆ  dentro per la via larga che gira a sinistra…

Nell’abitato di Velo d’Astico (Villascura nell’immaginario fogazzariano) ĆØ possibile visitare Villa Velo, doveĀ Antonio Fogazzaro collocò l’abitazione diĀ Daniele Cortis, protagonista dell’omonimo romanzo del 1885.

Il poeta conosceva bene Villa Velo, che in quegli anni era un luogo incantevole. Era solito sostare nel giardino, da lui definito “francese“, e le sue camminate erano frequenti nel viale dei carpini bianchi, fino al laghetto circondato anch’esso dai carpini.

Seguendo Elena, nelle prime pagine del romanzo, percorriamo il viale

dove un rivolo gorgoglia fra le ninfee, l’erba affoga il sentiero, e in alto, le acacie dell’uno e dell’altro pendƬo confondono nel sole il loro verde, spandono al di sotto un’ombra dorata.

Eccoci giunti nel cuore del parco, dove ĆØ possibile notare la colonna spezzata, che in più riprese viene citata nel romanzo come simbolo dell’amore infranto tra Daniele e la cugina Elena.

Si ascende per di lĆ  ad un quieto seno aperto del colle, e quindi, fra gli alberi, al piano erboso dove una colonna di marmo antico, portata dalle terme di Caracalla in quest’altra solitudine reca sulla base due mani di rilievo che si stringono e le seguenti parole: ā€œHyeme et aestate et prope et procul usque dum vivam et ultra

La colonna in marmo rosso esiste davvero e fu recuperata dalle Terme di Caracalla (Roma) da Girolamo Egidio di Velo, figlio di Girolamo Giuseppe. Originaria dell’Egitto, la colonna venne prima sistemata nel parco e successivamente spostata nel giardino davanti al palazzo centrale.

Numerose parti del romanzo sono ambientate a Villa Velo, dove il Fogazzaro colloca la maggior parte delle vicende. lo scrittore ci fornisce un ritratto reale della sala principale.

Una lucerna colossale ardeva in faccia alla porta sopra una tavola greggia, illuminando, dal pavimento alle nere travi enormi, la sala con le sue quattro porte laterali accigliate, con il suo disordine di carte e di libri ammucchiati alla rinfusa sulla tavola, sparsi sul canapĆØ e sulle sedie, con le due aquile piantate ad ali aperte negli angoli opposti all’entrata“.

Tale luogo ĆØ lo studio dove Daniele Cortis accoglie gli ospiti durante la preparazione della sua campagna elettorale per il Parlamento.

Le porte laterali accigliate sono visibili ancora oggi, con la caratteristica cimasa dipinta, da cui si accede alle sale e salette con le pareti tappezzate da specchi veneziani e raffinati fregi a stucco.

Nel corso del romanzo ĆØ possibile ritrovare nella Villa di Velo d’Astico ulteriori luoghi colmi di fascino e suggestivi.

Fra questi due angoli, la gran porta che mette al giardino era aperta. Grigiolo vi si affacciò. Aveva sul viso il Passo Grande, tutto nero; a destra, in alto, le vette del bosco denso che sale il monte, scende nella valle, copre dorsi e valloni, ruscelli e laghetti con l’orrore delle sue ombre. Il meraviglioso getto d’acqua del giardino parlava, invisibile, nella notte“.

Per trovare un po’ di freschezza e riposo nella quiete del bosco, lo scrittore ci conduce al laghetto, facendolo apparire ai nostri occhi come: “un ovale specchio d’acqua cinto da piante nere e adombrato dalla imminente montagna del Passo Grande“.

Ed ĆØ proprio il laghetto di Villa Velo a fare da sfondo alle vicende dell’amore tormentato tra Elena e Daniele, il tutto in un abilissimo intreccio tra le vicissitudini dei due giovani e l’ambiente circostante, raffigurato con grazia ed eleganza:

Un filo d’erba non si moveva intorno al lago ovale di Villa Cortis, non una fogliolina della sua corona di carpini.

L’acqua, tutta bruna, sino a mezzo lago, dell’imminente Passo Grande, tutta chiara, al di lĆ , di nuvole argentee, non faceva una crespa; e anch’esse le aride nuvole meridiane pendevano senza moto, temperavano la luce a quel sopore del lago, blandito dalla sommessa voce dell’acqua che v’entra e n’esce“.

In queste meravigliose parole, ĆØ possibile intravedere la natura che vive e che dialoga con i personaggi, la brezza primaverile che sussurra tra gli steli d’erba del giardino di Villa Velo.

Se qualche fiato veniva da mezzogiorno, tutti i fili d’erba intorno al lago, tutte le foglioline appena nate di carpini se lo dicevano; l’acqua sola sapeva che non era ancora il gran vento meridiano di maggio, la gioia e la festa di tutti i boschi, di tutti i prati e di lei; l’acqua non faceva una crespa e subito quel fiato ne andava via, tutto posava, tutto taceva ancora.“.

Il paesaggio circostante a Villa Velo, ĆØ descritto con grande raffinatezza e poesia nelle prime pagine di Daniele Cortis:

“Una stradicciuola corre a destra le praterie verso Villascura e casa Cortis, un’altra scende a sinistra nel fragore del Rovese, in faccia alle nude scogliere imminenti del monte Barco, una terza via dritta a tre grandi abeti che dal ciglio d’un pendio fronteggiano la vallata. (…)

Dal Passo Grande che porta sul primo scaglione Villa Cortis con le sue solitudini di boschi e di prati, fino a monte Barco e dall’alta gola stretta da cui sbocca il Rovese. (…) a destra, in alto, le vette del bosco denso che sale il monte, scende nella valle, copre dorsi e valloni, ruscelli e laghetti con l’orrore delle sue ombre. (…)

Vi sono lĆ  dentro colli e valloni perpetuamente ombrosi, laghi e prati cinti d’ombra, taciti canali che tremolano nell’ombra, voci di fontane invisibili. Le vette degli alti alberi in giro al cancello annunciano ondulando, mormorando al vento questo poema dell’ombra e della vita, ne promettono le oscure magnificenze“.

2. Villa “La Montanina”

Fonte: Acqua Ferro Fuoco

A poca distanza dal centro abitato, sorge Villa La Montanina, fatta costruire nel 1907 dallo scrittore Antonio Fogazzaro, che ne seguƬ la progettazione nei minimi dettagli insieme all’architetto Mario Ceradini, secondo i canoni del Liberty e del Secessionismo viennese. La Villa, a detta dello scrittore, si chiama “Montanina”, “perchĆ©, assisa sotto un cappello di tetti acuti, col dorso alla montagna fra selvette e prati pendenti al Posina profondo, ha l’aria di una boscaiola discesa dai dirupi della PriaforĆ , che riposa seduta sotto il grave carico e guarda.

Fogazzaro ebbe modo di conoscere il Ceraldini a Torino ne 1902, durante l’Esposizione internazionale di arte decorativa moderna. Successivamente a quell’incontro, Fogazzaro gli chiese di recarsi a Velo per visitare i luoghi e “disegnare un edificio che sia in armonia e in relazione intima con l’ambiente“.

La villa venne edificata in un tempo relativamente breve. Tale rapiditĆ  ĆØ testimoniata dalle annotazioni del Fogazzaro, tra cui quella del 22 giugno 1906:

Passo il mio tempo a godere questa grande quiete desiderata e a veder crescere la villa

E ancora il 16 luglio 1906:

Mentre la Montanina cresce, io contribuisco al lavoro battezzando sassi e fonti del parco; la chiesa sarĆ  Santa Maria dei Monti, le due fonti Fonte Riderella e Fonte Modesta. Mi sono divertito a questi battesimi come un bambino“.

Durante i lavori di costruzione, lo scrittore descrisse in maniera assai precisa e categorica come dovevano apparire i vari luoghi del complesso.

  • Per la cappella, sul lato est, verso la strada: “Vorrei ch’ella mi copiasse una Madonna arcaica non troppo lunga. La parte superiore dell’affresco dovrebbe rappresentare una scena di montagne un po’ lontane, agreste e rude. La pittura deve essere trattata come decorazione, alla brava“.
  • Per la Meridiana, posta nel lato a mezzogiorno della villa, con la scritta “Terrestres horae, fugens umbra”: “Approvo interamente il progetto della Meridiana, compresi i rettangoli rossi e la fascia tolta dal palazzo della Signoria. Bene anche il progettino degli spazi“.
  • Per i Re Magi, nello spalto sul lato nord-ovest della facciata: “Quanto al fondo dei Re Magi, amerei l’oro“.

Le cronache dell’epoca raccontarono il grande interesse destato dalla nuova “creatura” fogazzariana, la curiositĆ  di conoscenti, amici, artisti, giornalisti, tutti interessati a scoprire i rapporti che legavano l’estetismo fogazzariano a quel particolare gusto architettonico e ornamentale.

Tali novità non furono comprese in egual modo dalla gente comune, come di può leggere tra le pagine del romanzo Leila, ambientato in larga parte nella Villa La Montanina.

Nel romanzo, la Montanina divenne la residenza di Leila, la candida villa “Con la scena intorno di verdi rive, di alberi lentamente mossi dal vento, di ruscelli mormorati, di rose arrampicanti ai massi o pendenti a ciuffi sull’acqua corrente… con un’anima segreta di pauroso incanto

La Montanina ĆØ raggiungibile per la strada che da Velo d’Astico porta ad Arsiero. Poco prima del ponte sul torrente Posina, e poco dopo il boschetto dei Millepini, una strada sale verso la contrada di Lago. Seguendola per poche centinaia di metri, eccoci innanzi alla Villa La Montanina.

Superato il cancello, la villa ci appare in tutta la sua armonia: gli abeti si alternano a faggi e carpini, mentre i declivi del colle, nascondono rivoli che portano ancora i nomi creati dal Fogazzaro. Tra di essi possiamo notare il cippo di pietre bianche che contornano la scritta di Fonte Modesta col suo piccolo cavo grazioso, mentre sotto le romantiche scogliere del ponte, sgorga la Riderella, “il rivoletto che poi salta e suona“.

Tutto questo domina ed incorona l’incantevole Villa Montanina “candida come un dado di neve nel verde tenero fra i castagneti scuri.

La particolare conformazione dei tetti, i quali cadono ripidi su strutture portanti in legno di larice, fa cadenza sul timpano della facciata rivolta a nord, di fronte alle balze del Cengio; il frontone trapezoidale, alla cui sommitĆ  si aprono due minuscole finestrelle a cui fanno da contrappunto, sopra il massiccio architrave, le tre aperture della fascia di mezzo, sembra rispondere alle indicazioni categoricamente dettate al Ceradini dal Fogazzaro stesso: “Chiostro alto e immenso, paesaggio ariostesco ampio e pur misterioso“.

Le colonne in stile orientale, appoggiate a robusti plinti in pietra, l’imponente vetrata, gli archi appena accennati nella porta di ingresso nella veranda e nelle finestre del pianterreno a ponente, altri elementi puntualmente riproposti anche nella ricostruzione operata dopo le distruzioni belliche, sono tutte caratteristiche che fanno della “Montanina” un unicum pure ai nostri giorni.

Tonezza del Cimone

Fonte. OperaEstate Festival Veneto 44

Nota nell’immaginario fogazzariano come “Vena di Fonte Alta”, nel Romanzo Piccolo Mondo Moderno lo scrittore vi collocò le vicende dell’amore tra Piero Maironi e Jeanne Dessalle.

…un bel nome di una bella montagna… per una cura climatica. Cinque ore dalla cittĆ , due di ferrovia e tre di vettura, mille metri sul mare, boschi di abete, boschi di faggi solitudine, quiete

Se Vena ĆØ Tonezza, Picco Astore ĆØ il profilo roccioso dello Spitz, mentre il Belvedere ĆØ l’Hotel Astore, e la casa della figlia dello scrittore (che dimorava a Tonezza durante le estati) fu denominata Villino dei Faggi, residenza della signora Cerri.

In questi luoghi, i due protagonisti del romanzo vivono la loro appassionata vicenda di amore tormentato, che ad un certo punto della storia, li condurrĆ  a percorrere il sentiero oggi noto come “Sentiero Fogazzariano di Tonezza”.

Mano nella mano, i due amanti si avviano per il Bosco del Gigante lungo il sentiero che porta sopra la costa dei Lain, e fino all’orrido sulla Val di Rio Freddo. Tutt’attorno a loro regna sovrana la natura, in un panismo profondo, ora specchio, ora rifugio.

Seguendo le loro tracce, eccoci giunti in un luogo magico, dove l’animo di Madre Natura esalta tutta la sua magnificenza:

Un velo era sceso sullo smeraldo dei prati, le ombre degli alberi si erano sciolte nel chiaror diffuso del sole nascosto, il nebbione fumato su dalle valli, si riversava lento per gli alti grembi di Vena, per le vette delle selve, affiochiva nei pascoli i suoni sparsi dei campĆ ni, fasciava le pendici nereggianti di Picco Astore.

Nel corso del tragitto, Piero e Jeanne “Passarono certi casolari e piegarono a destra in un picciol cavo ombreggiato di noci dove convergono altri sentieri e chiama con fioca dolente voce una sottile polla dell’acqua Barbarena, cascando nella vasca disposta ivi per le mandre… I belli occhi parlanti, di Jeanne, si velarono di pianto… occhi lacrimosi, occhi magnetici. Pietro teneva i suoi fissi nel vaporar lento della nebbia, nelle foglie dei noci, gravi di umidore…”.

Poi, d’un tratto, la nebbia si apre, ed ecco “apparve a destra, nero, imminente, il tragico Picco Astore, apparvero, in un chiarore di sole pallido, pendenti grembi e molli dorsi di pascoli, alture nere gremite di abeti, profili grandi delle creste di Val Posina E presto, intorno ai due silenziosi, ruppe il sereno da ogni parte, l’erbe imperlate brillarono, lo smeraldo dei pascoli si ravvivò, le cervici calve di Picco Astore diventaron fulve, gli umidi aromi della montagna odorarono“.

In questo splendido ritratto che offre il Fogazzaro del paesaggio circostante, la natura diventa uno specchio gaudente.

Pochi passi per intricati rami su pietroni affondati nei muschi, sconnessi dalle radici degli abeti e dei rododendri ed ecco, a sinistra e a destra, l’orribile Profondo, la mostruosa cintura di scogli, lunata e rientrante sotto le creste coronate di abeti, come una colossale onda che frangendo si rovescia all’indietro, ecco Rio Freddo, il pauroso confine del paradiso verde di Vena, la valle dell’Ombra della Morte… Jeanne mise un piede sopra un lastrone sporgente fra gli abissi. Pietro l’afferrò alla vita ed ella si rovesciò indietro alle sue braccia, chiudendo gli occhi. La strinse a sĆ©, la coperse, tacendo sempre, di carezze cosƬ violente che…

Il Bello, il Sublime tipico del Romanticismo, tutto questo in uno splendido affresco che si rassomiglia sotto alcuni aspetti alle liriche di Leopardi. Le montagne descritte nel percorso attorno a Vena di Fonte Alta sono quelle del Pasubio, della Priaforà, del Sellugio, della Gamonda e del Majo, di Malga Zolle di Dentro e di Fuori, del Tòrmeno, del Toraro, del Campomolon e del Melegnon.

Un meraviglioso affresco alpestre, sopra ad una valle oscura, dove Jeanne si lascia trasportare dall’amor sublime, Pietro che rompe l’incanto paradisiaco con le sue carezze… Fogazzaro qui ĆØ riuscito a collegare gli elementi naturali con la tempesta e impeto dei sentimenti. Ciò che segue nella storia ne ĆØ la dimostrazione.

Quando vien la notte dove i due giovani decidono finalmente di amarsi, ecco che giunge a Pietro la notizia che sua moglie sta morendo. Egli lascia Jeanne a Vena di Fonte Alta, e si precipita verso valle, per giungere al capezzale della morente. Nel tragitto che egli compie “…giù giù nelle tenebre, al trotto di una brenna… sopra quel biroccino sconquassato, accanto al vetturino muto… Spariscono in alto per sempre i boschi, i pascoli con i sentieri, le macchie e le fontane che tanto sanno, sparisce Picco Astore; giù giù, sotto le stelle pure, per una costa ignuda…; sparisce in alto, per sempre, la casa dove dorme Jeanne, inconsapevole; giù giù, al trotto della brenna, per un fitto di faggi addormentati, per avanguardie di radi abeti veglianti, per orli di baratri; giù giù, da destra a sinistra e da sinistra a destra, con l’orrore di aver cupidamente pensato al tradimento, mentre la poveretta fedele lo chiamava al suo letto…; giù giù, dal vento freddo delle alture nell’aria sempre più afosa…; giù giù, da sinistra a destra, da destra a sinistra, senza fine, al trotto stanco della brenna, col biroccino sconquassato, accanto al compagno muto; giù giù, fino in fondo, al suono di ombrose correnti, a una prima sosta“.

Ancora una volta ĆØ ad un paesaggio palpitante che Fogazzaro affida il compito di dialogare con i sentimenti umani. Uno splendido ritratto tra l’aspetto naturale e i turbamenti dell’amore.

Concludiamo la nostra guida presentandovi un edificio attualmente in stato di degrado ed abbandono, ma di notevole importanza nel Cammino Fogazzaro Roi.

Appena fuori dall’abitato di Tonezza, ĆØ possibile notare nascosto tra le fronde il Villino Roi, detto “dei Faggi”, dove all’inizio del Novecento era la dimora della figlia dello scrittore, Gina, nonna del marchese Giuseppe ā€œBoso ā€œ Roi.

Fonte: FAI – Fondo per l’ambiente italiano

Nel Romanzo “Piccolo Mondo Moderno“, lo scrittore rinomina tale edificio “Villino dei Faggi“. Attualmente, tale luogo ĆØ il capolinea del Cammino Fogazzaro Roi (inserito nei Cammini Veneti), il quale partendo da Montegalda fa concludere degnamente il suo percorso proprio davanti al Villino.

La nostra visita tra Velo d’Astico e Tonezza del Cimone si conclude qui.

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